martedì 16 gennaio 2007

Il molle-agiato

Rock e lento, nuovo metro di tassonomia qualunquista preconizzato dal qualunquista per antonomasia Adriano Celentano.
Eh si, rieccolo redivivo uscire dalla sua lussuosa spelonca dove se ne sta rintanato come un orso in laborioso letargo 365 giorni su 365; letargo laborioso speso a preparare fantasmagoriche scenografie, duetti e riesumazioni di mummie dell’avanspettacolo e censurati queruli portatori, nell’ordine, di:
1) Audience accompagnata da graveolente tanfo di sarcofago;
2) Polemichetta (molto “etta”) col quale riempire la pseudo programmazione RAI, ramo Talk show.
3) Geremiade infinita della sinistra sulla censura sistematica applicata dall’autoritario (Sudamericano, illiberale ecc.ecc. ) governo Berlusconi e relativa domanda sputtanatrice della destra: <<>>
Dubbio di inciucio D’Alema-Biscione ai tempi della bicamerale.
Faccio notare che per ovvie ragioni di spazio e risapute questioni di umanità ho risparmiato ai lettori il tedio delle cazzate in prima pagina sfornate da una caterva di quotidiani e settimanali; le stupidaggini en plein air di certa satira televisiva falsa e demagogica e tanto altro che non vi sto a dire per ottemperare all’impegno di non annoiarvi preso quattro righe fa.
Dunque,dove eravamo rimasti? Ah si! Ad Adriano Celentano.
Adriano Celentano ritorna a illuminarci col suo irriverente genio, e al suo irriverente genio plaudono in molti e insospettabili perfino.
Vittorio Feltri, in primis, il quale ha reputato sconveniente l’opzione diffamazione + querela, ormai collaudata, e da comare ha cantato schiettamente le lodi al cantautore, dirottando però l’attenzione sull’opportunismo e la furbizia del personaggio (notoriamente equilibrista e capace di clamorosi voltafaccia) più che sul suo dubito orientamento a sinistra.
Insomma, almeno per questa volta Feltri è riuscito a tenersi alla larga dal ruolo di Elliot Ness della situazione che scopre il marcio finanziario celato dietro la presunta immarcescibilità del vip popolare amato da tutti (e, torno a ripeterlo, ha evitato cosi l’ennesimo, lungo cavillo burocratico).
Dalle pagine del “Foglio”, frate Ferrara lo assolve bonariamente, felicitandosi col diretto interessato per il successo ottenuto dal programma (e chi lo avrebbe messo in dubbio?) e complimentandosi per la pacificatoria scelta di ospitare “coloro che tornano dopo una lunga assenza”.
Il ritornante è Michele Santoro, bestia nera di Ferrara, cacciato dalla RAI col beneplacito dell’elefantino; elefantino entusiasmato dalle coreografie del programma, per il quale profonde aggettivi strampalati e rutilanti (tra le tante <<>>, con la Carmen impersonata dalla procace Luisa Ranieri).
Su un punto Celentano è riuscito: mettere d’accordo Giuliano Ferrara e Curzio Maltese, che dalle colonne di “Repubblica” osanna “Rockpolitik” come la <<>>, a dispetto della palesata idiozia degli assunti.
Le reclame poi hanno fatto passare la più falsa delle immagini con cui si potrebbe targare il molleggiato, quella dell’ultimo dei Pasolini (ma, ahi me, di Pasolini ce n’era uno solo!) dell’incontaminato “selvaggio buono” Rousseuiano, a cui è configurabile anche a livello psicosomatico: vedere la faccia scimmiesca del molleggiato, Lombroso lo avrebbe rinchiuso seduta stante in una gabbia per bertucce con tanto di banane e chincaglierie. Purtroppo Celentano di incontaminato ha davvero poco. Ha cavalcato da viscido camaleonte tutte le epoche e tutte le mode, ha fatto propri, risemantizzandoli in chiave qualunquista, gli stilemi dell’ecologismo oltranzista, ha speculato sulla fame nel mondo e sulle varie congiunture economiche, è stato bravissimo, in tempi non sospetti, a condannare tutto e tutti: la televisione ai tempi di “Svalutation” con l’allusivo invito a spegnergliela davanti alla faccia; la donazione degli organi umani con l’assurdo grido d’allarme da incubo Orwelliano che condannava la presunta arbitrarietà della procedura: “doniamo gli organi? enbè, mettiamo che domani mi sveglio senza una gamba!” .
L’irritante costume, ormai invalso ovunque, della polemica ad ogni costo, la provocazione per la provocazione a livelli di gratuita ovvietà e irraggiungibile insensibilità verso gli spettatori, tutto piegato al personale traguardo mondano del “far parlare di sé”, altro che meditativa intelligenza al servizio del cittadino.


Barbera Filippo

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