mercoledì 10 gennaio 2007

Un Rotondi sul mare



Gianfranco Rotondi è l'insipido erede della cultura democristiana verace e sfacciata, nel senso che rivendica una pagina di storia patria di cui possiamo essere poco orgogliosi. Una faccia da morto di sonno che dopo dieci minuti che la guardi cominci a dubitare della tua sicurezza e inizi a preoccuparti seriamente: ti capaciti di avere a che fare con una razza che puo contare nel suo libro famiglia personaggi cristianamente spregiudicati, secondo cui il POTERE logora chi non ce l'ha, cioè che il potere va coltivato e difeso e non respinto o peggio condannato come immorale. Una classe politica cresciuta all'ombra delle vesti clericali, in una prestigiosa e insuperabile scuola di amoralità immorale, valente somministratrice di piccole dosi di veleno, di piccole bastonate e minuscole efferatezze, ponderatamente, col misurino, tanto quanto basta per non cadere nell'abiezione. Lui è riuscito benissimo, pacato e figlio di puttana - accezione americana -, falso e bleso, pallido e perfidamente intollerante. Sbaglia chi confonde cio con la cecaggine idiota di certi berluscones; sbaglia pure chi travisi la corazza astiosa con la passionalità relativamente corretta di un Pierferdinando Casini.
L'italiano ha fallito nell'impresa di fornirsi di un anticorpo contro la DC, tumore maligno fisiologicamente parlando, figura castrante psicoanaliticamente considerando. Bene o male? La democrazia cristiana è tacciabile di molti errori e disastri ma certamente è stata l'editore di riferimento di molti più cittadini oltre che dell'inestimabile Bruno Vespa. Si contano a centinaia di migliaia coloro che hanno beneficiato di mezzo secolo di regime dello scudo crociato, hanno riscosso onori, intascato prebende, alimentato la corruzione e la connivenza e l'appoggio incondizionato alla criminalità mafiosa, hanno potenziato la tradizionale grettezza dell'italiano medio, stuzzicandone vizi privati e pubbliche virtù. La tecnica di governo si è risolta in una silenziosa manovra di imbrigliamento del cursus democratico. Di un regime d'eccezione dettato dalla necessità e dagli scherzi della geopolitica, disegnatasi durante la guerra fredda, hanno fatto la procedura abituale, svilendo le buone cose della democrazia partecipativa e limitando il pluralismo e la dialettica all'eterno dualismo DC vs PCI, di cui la popolazione incomincia ad averne abbastanza, percependo il logorio fisico di una disputa manichea irresoluta e infinita. L'inconsistenza delle proposte, la mediocrità dell'establishment partitico, la provvisorietà dei programmi, il carattere effimero di etichette e nomi, l'assenza di radicamento nella società e l'intercambiabilità con questa.
Un partito oggi in Italia sbaglia due volte. Primo perchè si rifà allo schema delle contrapposizioni apocalittiche degli anni 50. Secondo perchè finisce con l'essere inferiore agli avi che si propone ottusamente di eternare, in preda a uno stolto gioco di trasmigrazioni e operazioni di maquillage. Tutto inutile: il partito si consuma come una candela senza pervenire ad una identita propria e originale, a divenire qualcosa di più profondo della semplice entità metafisica, a esporre valori sinceri e in sincronia coi tempi. Se poi inseriamo in tutto questo il profeta di Arcore che ci mette in guardia da Stalin ...
La guerra fredda è finita nel 1989 con la caduta del muro, qua in Italia non ancora, anche se da grandi buontemponi festeggiamo ugualmente l'evento, in un turbine di sciocche contraddizioni. Pazienza, vivivamo in un'altra dimensione temporale, siamo un'universo parallelo.

Filippo Barbera

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