giovedì 11 gennaio 2007

Neo Gollismo all'italiana

L'idea perseguita da AN di un partito unico di ispirazione neo Gollista, in sincrono con la vecchia DC ripescata da Rotondi, è la prova limpida della carenza propositiva della politica di casa nostra. La prova del nove sulla non originalità che investe la destra in un momento cruciale della sua storia.
Le ipotesi offerte dalla rosa sono: un partito liberale neoliberista Reaganiano, subito scartato, primo perchè è dal 1994 che Berlusconi definisce tale la sua creatura senza decidersi a passare ai fatti concreti; secondo, una ricetta economica all'insegna delle liberalizzazioni incontrerebbe non pochi scogli nel centrodestra, a partire da Alemanno per finire a Follini passando per Calderoli.
Lo si è visto in questi quattro anni caratterizzati da una politica economica prevalentemente protezionista, statalista e corporativista diretta dall'asse del nord Tremonti - Lega, lillipuziani patetici contro il Gulliver Cinese. Muti gli ultraliberisti Sacconi e Brunetta.
Quali sono allo stato attuale le tre probabilità coltivate da AN? Come abbiamo sinteticamento dimostrato, è meglio stornare da qualsiasi progetto liberaldemocratico all'americana, anche a causa di sacrosanti fattori antropologici. Non corre buon sangue tra l'aulica tradizione anglosassone conservatrice e l'inclassificabile reazionarismo latino. Dovessimo fare un paragone coi venti avremmo il ponente monarchico, che ha usato la fedeltà alla repubblica solo come bandiera di comodo; il levante di Alessandra Mussolini, brava a far valere la forza suggestiva del patronimico e la bonaccia Finiana insidiata dallo scirocco della destra sociale Alemanno - Storace che gli addebita una metamorfosi democristiana. Accusa sottoscritta anche dal vento di levante, con la pimpante Mussolini che (ultimamente batte il tamburo con la disobbedienza civile e il libertarismo di destra ostile a "froci e partitocrazia") rimarca la funesta opera finiana: ha ridotto la povera fiamma in un moccolo consunto. Il ponente monarchico ha una storia anche se e merita di essere trattato di conseguenza, a parte.
La fedeltà alla monarchia sembra giocare un ruolo di primo piano nella trasfigurazione di AN da destra repubblicana del premierato fortissimo a destra convenzionale, da target europeo, con un quid da non sottovalutare, appunto, di ascendenze monarchiche. Ma la simpatia profusa dai nostalgici, con atti a volte discutibili e violenti, in polemica con l'autorità repubblicana, è insufficiente a salvare una casata screditata e castrata politicamente, che da occasione di far parlare di se solo unicamente in occasioni di nozze, serate in società e pranzi di gala dove volano cazzotti e scappano colpi di fucile.
L'imbarazzo è quasi generale per tarsferirsi e dico quasi perchè c'è sempre chi è disposto a fare il giapponese della jungla, nella fattispecie il principe Ruspoli, maestro di bon ton a porta a porta, quando persino Giuseppe Consolo, vestale monarchico e pluri imparentato con diverse famiglie patrizie (la sua gentil signora è una Romanoff), è perfettamente al corrente del basso profilo istituzionale e umano del clan Savoia.
Il modus vivendi a proposito della struttura del partito, potrebbe risiedere in una formazione politica di matrice gollista, latina e mediterranea come temperamento e valori, in linea con certi spiriti focosi ed energumeni che bivaccano all'interno di AN. Tracciato il solco si passa ad alterare il non certo brillante archetipo francese, giocando il gioco dei sinonimi e dei contrari dal quale non possono esimersi quanti vogliono rinnovare un partito che conta tarscorsi poco commendevoli.
La tattica speciosa poi, sembra fatta apposta per l'umore da moderato sforzato e sibillino di Gianfranco Fini.
E arrivato il momento di tentare di redigere una virtuale carta dei valori, uno specimen dell'indirizzo programmatico della destra postfascista scritto, manco a dirlo, con la tecnica del sinonimo spiazzante e della perifrasi: 1) laico ma non laicista (cosa vorrà mai dire? Si consiglia di consultare un buon dizionario); 2) europeo nel rispetto dell'introncabile asse atlantico (quindi non europeista); 3) economia sociale di mercato et voilà.
Senza intrattenermi in una fastidiosa logomachia, dico subito quanto siano ancora forti i debiti lessicali che gli aennini hanno nei confronti dell'oratoria Mussoliniana e D'Annunziana. La sinistra fortunatamente si è affrancata dal codificato linguaggio burocratico dei soviet.
Durante il referendum sulla legge 40, la granitica coesione del partito di via della scrofa ha accusato qualche crepa allarmante: Fini dichiarò apertamente che avrebbe risposto con quattro si e un no ai quesiti del referndum abrogativo, ma la sua decisione passò come un parere personale, qualcosa su cui era impossibile sindacare, difatti colonnelli e vicari si apprestarono subito a praticare la via della libertà di coscienza, della discrezionalità su temi inerenti l'etica e la morale.
Il leader della nuova destra si affermò come nuovo personaggio destinato fare il concorrente del cavaliere e disposto a dialogare coi settori progressisti del paese, almeno sopra alcuni argomenti, affidandosi al decisionismo che manca assolutamente a Berlusconi nelle occasioni in cui si tratta di dover scontentare qualcuno. Ma è veramente tutto oro quello che luccica? E veramente tutto meraviglioso e perfetto per Fini? No, ben presto si evince che il bravo Gianfranco è alla guida di una corrente anzi di un correntone riformatore patentemente minoritario, e il poveraccio si destreggia funambolicamente tra "colpi di frusta e allegri stratagemmi" allo scopo di sottomettere l'ala biliosa e renitente del partito, quella destra sociale capitanata dal duo Storace-Alemanno, lo scirocco perturbatore tanto per intenderci.
Inevitabile che Fini si trovi davanti ad un aut aut amletico: proseguire lo slancio riformatore o cedere ai tradizionalisti?
Eppure a pensarci bene Fini è una personalità riflessiva, sul voto agli immigrati ha parlato in tono possibilistico citando un futuro poco prossimo, dove ha potuto urtare la suscettibilità dei conservatori? Gesti come i si al referendum e la formale abiura del fascismo, con il viaggio e la riconciliazione con il popolo ebraico, sono gia qualcosa di scandaloso agli occhi di un Tremaglia, pensare alle reazioni che accoglierebbero un'altra apertura al riformismo, che non è solo un problema interno della sinistra e che la destra sottolinea immancabilmente come se la sua transizione democratica fosse gia acquisita e sugellata dai fatti.
Come si regolerà Fini? Lascierà il partito per trasferirsi nell'UDC o in Forza Italia come preconizzato da Vittorio Feltri? Continuerà in seno ad AN rischiando la perdita di cospicue fette di elettorato? Fonderà un nuovo soggetto politico che recida recisamente i legami col post e neofascismo? Oppure spetterà il soccorso del tempo, soccorso che potrebbe personificarsi nelle sembianze del partito unico della casa delle libertà?
Il coraggio non gli manca di certo, non mancava neanche a chi, prima di lui, ha dovuto condurre la destra cattolica e franchista verso una sincera conversione democratica, José Maria Aznar.

Filippo Barbera

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