giovedì 11 gennaio 2007

Arruso.

Pierpaolo Pasolini, personaggio a volte conformista a volte anti-, al tempo stesso comunista eretico e ortodosso, provocatore e moderatore, innovatore, sempre, nel suo poliedrico magistero artistico. Progressista filosoficamente, tradizionalista nella dialettica, in buona parte antiradicale creduto criptoradicale dai compagni comunisti e universalmente spacciato per pezzo pregiato della gioielleria radicale dal troppo verde per ricordare Daniele Capezzone. Un pezzo pregiato ed eccentrico, un poeta di fede marxista cosciente del paradosso
della comunicazione in cui viveva fino all'autodenuncia. Un intellettuale mai soddisfatto e mai sereno, sempre alla ricerca della libertà nella libertà, come consigliava Toqueville (certo non uno dei mentori di Pasolini) a tutti gli spiriti degni della democrazia.
Sempre in trincea a denunciare le mostruosità della società e a trovare un tratto negativo nei fenomeni che polarizzavano l'attenzione e l'entusiasmo dei più. Memorabile "comizi d'amore", documentario del 1964 sulle abitudini amorose degli italiani che cambiano, capace di schiantare una vanesia Oriana Fallaci, mai così ottimista e libertaria coi giovani che andavano dalla fabbrica alla pista da ballo in 500 e fregandosene della lotta di classe. Pronta la risposta di Pasolini: <<>>. Oggi Oriana sembra avere abbandonato le magnifiche sorti e progressive per iniziarsi come Leopardi, ma con meno finezza e discrezione, al pessimismo cosmico. Un costante volersi distinguere e voler praticare la via del paradosso democratico, con eleganza e verve dissacrante congeniale ad un liberale come lui, degno collega di Wilde e Shaw. Lungimirante e acuto, omosessuale coi sensi di colpa derivanti dal suo essere cattolico e borghese; difensore (da ateo marxista) dell'essenza del cristianesimo, tanto da dedicare alla figura di Cristo
un film bellissimo "il vangelo secondo Matteo" e un piccolo ritratto, quella "ricotta" con Orson Welles nei panni di un regista americano marxista che stigmatizza la società italiana, e col sottoproletario affamato che muore d'indigestione in seguito a un pasto luculliano passatogli dalla troupe. Per divertimento ovviamente, acuta metafora del boom economico e del benessere a portata di tutti, strumento surrettizio del potere usato per imbonire la massa e continuare indisturbato il suo perverso esercizio. Temi onnipresenti nell'arte pasoliniana, dalla fase neorealista al periodo surrealista culminato in "Salò". E pensare che qualcuno l'ha definito un personaggio "tecnicamente reazionario" (Giuliano Ferrara) solamente perchè aveva consigliato di spegnere la televisione, luogo della menzogna sistematica, da ottimo sociologo.
Altri, nella eco che ha accompagnato i trent'anni dal suo brutale assassinio, lo hanno definito semplicemente per quello che era (tra l'altro): un poeta. Lo disse Bernardo Bertolucci, anch'egli poeta e figlio del poeta Attilio, il giorno del funerale di Pasolini.

Filippo Barbera

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