sabato 29 settembre 2007

L'alunno professore

Retequattro: si consuma la tragedia di Roberto Gervaso, un tempo divulgatore storico di grido assieme a Indro Montanelli ( i primi volumi della Storia d'Italia) relegato da Mediaset in un cantuccio. L'uomo col papillon risponde a lettere piene di curiosità in un clima surreale, da incubo catodico.


Molti dei detrattori di Roberto Gervaso diranno: ecco dove conduce l'umana ambizione, che nella fattispecie, cioè nel caso del nostro oggetto di studio, consiste nell'aver seguito Silvio Berlusconi.
Ma quella di Gervaso la si può chiamare in mille modi fuorchè ambizione. E l'istinto vitale del pensionato consapevole della propria inutilità che lascia un poco andare la briglia del rispetto per se stesso, che smette l'abito della dignità per ossequiare il novello potente e indulgere ogni suo capriccio. Si è abbassato a molte cose, anche fastidiose e meschine, il nostro Gervaso, come quella volta che nella rassegna stampa del Tg4, in qualità di ospite, bastonò retoricamente l'ultimo Benigni richiamandolo al ruolo di garbato giullare. Certo ha sempre avuto opinioni personalissime, controcorrenti e di certo coraggiose, ma col tempo che tira e gli habitat che frequente uno strappo al decoro, come dicevamo, deve pur sempre farlo.
Negli ultimi anni scodella molti libri inutili e ricercati, di marca culturale rondista e di stile pomposamente D'Annunziano, dove propina interviste sciccose fatte alle svariate celebrità del globo terracqueo. Traccia i profili di questi notabili dello sport, della cultura, della politica e dello spettacolo con lapidarie metafore e arditi aforismi, l'altra sua passione che lo conduce ad arrovellarsi i cervello al fine di sfornarne sempre di nuovi, uno più scombinato dell'altro.
La piccola consolazione senile è rappresentata da un presente offertogli dal presidente Berlusconi, che non dimentica mai di omaggiare, il microprogramma “Peste e corna e goccie di storia”, in onda su Retequattro in una fascia oraria a dir poco proibitiva tagliata su misura per i metronotte desiderosi di abbeverarsi alle sacre fonti dello scibile. Del resto Gervaso ha sempre ricordato che i suoi libri li scrive in modo semplice appunto per renderli accessibili alla maggioranza dei lettori, lattai, portinai, commesse ecc., lui stesso nasce lattaio riclatore di bottiglie usate.

Povero signor Gervaso! La sua opera di padre scolopio risulterà vana nell'epoca del precariato e dei salumieri laureati, i quali rinfacceranno al nostro sventurato père Goriot della penna la pubblicazione di libri risibili, oltraggiosi verso la loro somma preparazione di schiavi moderni colti. Ma evitiamo di lasciarci cogliere dal grillismo. Torniamo a bomba, come direbbe il nostro amico Gervaso, torniamo a Peste e corna che avrete la bontà di seguire in una forbice oraria sospesa tra le sei/sei e mezzo di mattina. Il motivetto di Gershwin accompagna gli effimeri titoli di testa e di coda mentre in mezzo risiede la preziosa farcitura costituita da Gervaso in persona, ripreso in quello che con tutta probabilità è il suo studio, fornito una capace libreria.
Il giornalista scrittore improvvisatosi conduttore esordisce annunciando l'argomento suggeritogli dalla lettera di uno spettatore (c'è ne sempre uno anche se gli ascolti smentiscono) e attacca.
La disquisizione gervasiana è, con tutto il rispetto per questo squisito dandy d'antan, imbarazzante.
Il papillon gli dona un contegno ma la voce gracchiante, la prosopopea (non priva di una sana autoironia) e le cadute di stile contribuiscono e parodizzare il tutto. Desta sospetti pure la maniera di esporre i fatti, giacchè i nervosi scatti con la testa e un palese armeggiare con le mani svelano il galeotto foglio di appunti con la quale lo scolaretto Gervaso gabba ogni maledetto risveglio degli italiani: lo stropiccia, lo sbircia facendo goffamente finta di meditare; si arrampica sugli specchi quando si trova a dover improvvisare la frase, lanciandosi in audaci quanto patetici voli pindarici della frase fatta (eroico Garibaldi, ieratico De Gasperi, eburnea Poppea, scellerato Nerone, pazzo criminale Hitler, muuuh fa la mucca e chicchirichì il gallo ...).
E poi magari mendica pure il sei politico al professor pubblico per raffazzonare la media-voto della pagella. Minuzzolo.


Filippo Barbera




mercoledì 26 settembre 2007

Una pazzia targata Filippo Barbera

Pubblico una blobbata in cui m isono permesso di inserire alcuni omaggi cinematografici.
Vediamo se riuscite a individuarne qualcuno ...

Le cateratte della politica



Sono i giornalisti dobermann del potere: vecchi e insopportabilmente sofistici ma ancora capaci di dettare la linea. Stiamo parlando di Eugenio Scalfari, che sul V day sembra avere le idee appannate. O invece le ha fin troppo chiare?


Eugenio Scalfari dal suo scranno sublime ci serve nuove inarrivabili corbellerie maneggiando la sua

soave penna alla camomilla. Ha voluto attendere il dopo V day after addirittura per farci sapere la sua decisiva opinione. E noi lì tutti trepidanti aspettiamo che arrivi l'articolessa del divin Eugenio, il quale prendendosela comoda ci ha in qualche modo avvertito che le sue saranno osservazioni lapidarie e dense di saggezza al contempo. Purtroppo per lui e i suoi lettori benevoli, così non è stato. Era meglio se Scalfari conservasse le sue opinioni nella parte più segreta e inaccessibile del proprio inconscio. Dalla meditazione del venerabile maestro del giornalismo strampalato è uscita fuori una caotica massa di riflessioni e ammonimenti ripresi dalla letteratura sociologica del secondo dopoguerra. Sonni ed eclissi della ragione; ramanzine sulla responsabilità, primo dovere dell'uomo democratico se non vuole delegare la propria coscienza al primo dittatorello che capita; ribaditi appelli al primato della politica e dell'autorità con le P e le A maiuscole; raffronti espliciti tra la nascita dei fasci di combattimento e dell'uomo qualunque, e quella del cosiddetto “grillismo”.

Per quanto possa fare piacere la libera espressione del pensiero a mezzo stampa, l'articolo scritto da Scalfari è penoso sotto tutti i punti di vista. Le ragioni appaiono evidenti: il guru di Repubblica invita i cittadini all'ordine e alla responsabilità in un momento tra i più critici della storia recente, quello in cui raccogliamo i cocci della seconda repubblica e di tredici anni di sostanziale stasi della vera politica. La vera politica, sia o meno supportata dalla gente che scende in piazza più o meno incazzata, significa analizzare empiricamente i problemi procedendo poi alla loro soluzione.

Quindi la vera politica raccoglie al suo interno la possibilità di far parlare i cittadini sugli argomenti cardine (tasse, scuola, sanità, legge elettorale, politica internazionale, giustizia, telecomunicazioni e diritti civili) lasciando che a decidere sia la maggioranza, come avviene nelle grandi democrazie occidentali. Affinchè ciò si avveri dobbiamo togliere un malvezzo che produce risultati disastrosi: la cattiva abitudine che permette a politici, tecnocrati e clero di legiferare sugli argomenti sopracitati adducendo le solite scuse dalle gambe corte (“c'è in ballo la competitività del nostro paese, ci sono in gioco i valori cristiani, lo stato di diritto la sicurezza dal terrore”).

In definitiva deve essere concessa alla maggioranza degli italiani, popolo adulto e vaccinato, la libertà di scegliersi le regole fondamentali del viver civile, senza ricorrere all'intermediazione pelosa di politicanti, tecnocrati, teologi, imprenditori e compagnia bella. In alcuni stati degli Usa la pene di morte è ancora praticata perchè esiste una maggioranza di cittadini favorevole ad essa. I politici in questo caso si limitano a mantenerla in vigore come extrema ratio della punizione infliggibile al cittadino che trasgredisce le leggi. E stiamo parlando della pena capitale, la quale nel resto dell'america e del mondo desta sentimenti di repulsa ed è vista come una gravissima violazione dei diritti umani. Ora perchè alcune centinaia di migliaia di connazionali (i quali spero facciano da portavoce della maggioranza degli italiani) non possono contestare un sistema politico che li priva di importanti - non fondamentali ma importanti - libertà quali quelle di scegliersi i candidati alla camera e al senato, rompere il duopolio televisivo e non fare legiferare i pregiudicati?

La proposta della scadenza del mandato ai parlamentari (non eleggibile più di due volte) appare discutibile ma esiste nei principali paesi europei e comunque va interpretata come la risposta al mestiere della politica che intende la medesima quale scorciatoia per accedere a un pacchetto vitalizio di privilegi, dalla pensione facile ad un lauto stipendio. Riflettano i barbagianni della carta stampata prima di sentenziare a vanvera moralismi liberaloidi.


Filippo Barbera

Mastella di casa nella cloaca


Se la Giustizia è nello stato comatoso che conosciamo gli aerei di Stato non c'entrano niente. L'abuso degli aerei di Stato non costerà mai quanto gli abusi delle intercettazioni telefoniche, delle interminabili indagini preliminari o della carcerazione preventiva. Mastella con un voto lo si manda a casa. I giudici no”.


Il ministro di grazia e giustizia Clemente Mastella si prende una bella rivalsa sui suoi acerrimi nemici blogger aprende un blog. Da qui si difende dalle accuse che quotidianamente gli piombano in testa: abuso di potere, nepotismo, malversazione e altre porcherie che nel suo caso sembrano essere non veniali defaillance ma regolare prassi. Un momento, ho sbagliato. Il superministro eclettico e flessibile, uso a fagocitare tutte le misure di lotta antisistema, dagli scioperi della fame farsa ai blog, non è che neghi le accuse bensì si limita a sminuirle, in linea col Craxi - pensiero del “così fan tutti”. Prodi dice i cittadini non sono migliori dei politici e avrebe anche ragione se si riferisce ai centinaia di migliaia di evasori fiscali incoraggiati in questi ultimi anni dal permissivismo giuridico inaugurato dalla casta politica. Mastella più modestamente fa l'indiano fermandosi a parlare del suo spazio di competenza, la giustizia. La giustizia italiana sta male, verissimo, ma la colpa non è dell'indulto né del sor Clemente, che ci tiene a premere il pedale sull'acceleratore del vittismo più impunito e coglionatorio autoproclamandosi “capro espiatorio”.

Il viaggio a Monza, costato decine di milioni di vecchie lire, per andare a vedere il gran premio col figliolo è stata una carognata, uno sbaglio, un rutto in faccia ai cittadini. Ma non è stato minimamente una mancanza nei riguardi dei contribuenti, perchè questi vengono già gabbati pagando le indagini dei magistrati eversivi vogliosi di notorietà, col loro corollario di intercettazioni e processi dispendiosi. Dunque ricapitolando Clemente Mastella mette sù blog per diffamare – da guardasigilli - i giudici scialaquatori che a mala pena ricevono le scorte e i fondi per pagarsi la benzina. Sublime. Lui in fin dei conti non ci tiene neanche ad essere un buon politico perchè ammette gli abusi con tracotante flemma; semmai si appella alla divina provvidenza delle urne: “Mastella con un voto lo si manda a casa. I giudici no”. Già, sono un delinquente, ma legittimato dal voto degli elettori; sono uno schifoso che si permette lussi coi quattrini dei tassati, ma fra cinque anni (tre e mezzo se Dio vuole) potrete liberarvi di me. E la democrazia bellezza.


Filippo Barbera