giovedì 11 gennaio 2007

Tanto rumore per nulla.

Mesi fa si dibatteva a proposito della figura si Joseph Stalin, uomo politico e tiranno a seconda delle angolazioni da cui lo si osserva, su cui la storiografia discute da decenni. Luciano Canfora, esimio storico di stretta osservanza marxista, non si perita di paragonarlo addirittura a Pericle, l’eroe Ateniese che si avviò sul viale del tramonto subendo un processo con l’accusa di peculato; una fine lontana da quella del “batjuska” giustiziere dei nazisti, pianto da milioni di russi nel giorno del suo funerale. Tra i punti di maggiore complessità su cui gravita tutta la querelle, segnalo la bontà o meno del patto Ribbentrop-Molotov, accordo di non aggressione, brillante mossa per tergiversare operosamente e mettere al riparo la poderosa industria sovietica (smontandola da Mosca, Leningrado e Stalingrado e rimontandola poi oltre gli Urali) dal selvaggio imperialismo di Hitler, considerato da molti come la prova tangibile del precario equilibrio psicofisico del dittatore sovietico, della sua illimitata e perversa tirannide sanguinaria e masochista immune dalle preoccupazioni per la sorte dei polacchi e degli stessi Russi.
Comprendo la miriade di banalità sfornate da quanti fraternizzano con questa strampalata idea della sub asse Mosca - Berlino: <<>> ecc., senza escludere le improprie diramazioni di una complessiva presa di posizione antimarxista; attenzione, non antibolscevica, ma antimarxista, poiché è da lì, ab imis, che provengono i guai.
Parrebbe gia una castroneria identificare il bolscevismo col marxismo, che equivale a comparare l’ecstasi col caffè, figuriamoci immaginare una comunella o sfiorata comunella tra Hitler e Stalin.
La critica alle finalità escatologiche del marxismo, cioè la rivoluzione, il ribaltamento delle classi e la dittatura del proletariato come unica soluzione valida ai contrasti stridenti del sistema capitalista, inizia nella seconda metà dell’800’ con la scuola economica tedesca, i “socialisti della cattedra”, impegnati a dimostrare la verità marxiste e avanzare proposte di interventi statali riformatori, confutando ed enucleando gli aspetti dottrinari e rivoluzionari, inapplicabili senza un sovvertimento delle istituzioni liberali e democratiche di una nazione.
Questa vuole essere solo una modesta nota a margine, essenziale per inquadrare il nodo centrale del tema, che è Stalin e il bolscevismo e non il comunismo e l’ideologia marxista in generale o peggio il Marx economico, molto distante e molto discutibile dal Marx filosofo, genitore di una coscienza operaia, di quell’immane stereotipo di filosofo e critico impegnato ad impostare il comportamento, lo stile di vita, le letture, i film e lo sport di un proletariato indifferente, come in “uccellacci e uccellini“, scremando ciò che è (o può apparire all’intellighenzia sovietica col parabellum spianato) incline ad una estetica e ad una etica borghesi. Non fu Marx ad insegnare ai russi di denunciare i propri vicini di casa.
Detto ciò, se parliamo di tirannide o atrocità un raffronto tra i totalitarismi nazista e sovietico (non comunista!) è senz’altro possibile, ma se ragioniamo col senno del poi di un sedicente accordo per stritolare la Polonia ed il liberalcapitalismo occidentale ecco che ogni tentativo di giustapporre i due dittatori diventa inaccettabile, e inapplicabile ogni tipo di paragone. I morti prodotti dai lager poggiavano su di una delirante teoria pseudo scientifica antropologica, la supposta superiorità della razza ariana; i morti dei gulag su di un’altrettanto stupida tesi, inerente l’ideologia, le classi sociali e via elencando.
La stessa motivazione, in ultima istanza, per cui furono trucidati centinaia di migliaia di cittadini argentini, cileni, boliviani, cubani da feroci regimi militari telecomandati dai capoccia di Washington.
Gettati in pasto agli squali, fucilati in massa negli stadi, luogo canonico della tradizionale gioia di vivere dei sudamericani.
Altra polemica quella di vietare l’esposizione in pubblico della bandiera rossa con falce e martello per rispetto verso quei paesi dell’est europeo da poco entrati nella UE. Rendiamoci conto che una simile decisione seppellirebbe anni e anni di lotte dei lavoratori di tutto il mondo: la bandiera rossa trapuntata di falce e martello è stato il vessillo della speranza di un futuro migliore per milioni di operai, contadini e minatori angariati da franchigie di innumerevoli specie.
L’operaio francese, il contadino cinese, il servo della gleba russo (o l’anima?), il “cafone” dell’Italia centro meridionale, il minatore peruviano hanno avuto, per intere generazioni, una storia diversa da raccontare ai nipotini rispetto a quella del lavoratore polacco, ceco, ungherese, bulgaro, romeno.
Rispetto verso quanti hanno lottato per la libertà e la giustizia per vedere riconosciuto il proprio sudore, sempre e comunque, sia contro l’armata rossa o la CIA , sia contro i gendarmi di Bava Beccaris. Sotto qualunque bandiera: è una questione di umanità, non di araldica politica.

Filippo Barbera.

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